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LETTERA AD UN ARCHITETTO

Fabrizio Cruciani

 

Se si guarda il teatro nei molti modi in cui è esistito nel tempo e nello spazio, si deve riconoscere che a volte è esistito uno spazio per le rappresentazioni, a volte un luogo autonomo predeterminato rispetto agli eventi di spettacolo, e a volte una situazione di confusione tra i due.

L’edificio teatrale all’italiana, che si pone come lo spazio-modello nella cultura europea dal XVI al XIX secolo, è una forma spaziale non nata dalle esigenze rappresentative degli uomini di teatro quanto piuttosto dalle istanze di «immagine» di una cuItura e di una città. Basta seguire le vicende che portano alla costruzione di un teatro in una delle tante cittadine italiane per incontrare le discussioni nei consigli comunali, la formazione di associazioni di finanziamento (i palchettisti), la volontà di avere un edificio teatrale «migliore» delle altre città, di avere servizi di maggiore rappresentanza... E gli spettacoli? Di questo non si parla, per questo ci si rivolgerà ad un impresario. I teatri così fatti non sono certo dimensionati al loro uso come luoghi di spettacolo, a volte episodico; lo sono invece all’autorappresentazione di una comunità e per eventi eccezionali. Nella sua forma più compiuta, il teatro all’italiana con palchi è il luogo dello sguardo: ma è perché gli spettatori si guardino. I palchi negano la delimitazione delle pareti, sono ambienti che delimitano l’ambiente, in relazione dialettica e totalizzante. Il sipario è chiuso, l’arcoscenico è ornato, nei palchi c’è gente, tutte le zone sono riempite di figure allegoriche o ornamenti da guardare; poi il sipario si apre e comincia lo spettacolo – una parentesi nella vita del teatro.


Questo spazio del teatro, assoluto rispetto agli spettacoli, è il luogo degli spettatori.

Nel XIX e XX secolo il teatro viene espropriato agli spettatori, ma non viene dato agli uomini di teatro. Il teatro non si confronta più con la comunità cittadina ma con il Teatro, il senso e il valore del teatro nella cultura, di cui sono depositari un astratto Pubblico e la critica. Il teatro-monumento diventa teatro-museo. Si funzionalizza il teatro all’italiana, cambiandone il senso, all’esigenza dell’assistere allo spettacolo: si erigono a valori formanti non i modi di una relazione ma la funzione del vedere e dell’udire.

Con gli inizi del nostro secolo tutto quel che si coagulava nel teatro è assolto da una molteplicità di media, il cinema prima degli altri: e il teatro cambia senso e valori. Nel nostro secolo si è cercato uno spazio diverso del teatro: piani su più livelli a circondare il pubblico, arena centrale, spazio tecnologico, scena aperta, spazio unitario di scena e sala, sale non teatrali, spazi del vissuto e del quotidiano. Con i grandi Padri Fondatori del teatrodel Novecento e con la ricerca viva degli uomini di teatro (l’avanguardia teatrale non è il teatro delle avanguardie storiche) lo spazio del teatro è diventato il luogo in cui lavorano gli uomini di teatro, allestito per incontrare gli uomini che attraverso il teatro cercano una propria dimensione. E una rivoluzione radicale e profonda, che ha determinato le sconfitte moderne dell’architettura teatrale.

In una cultura teatrale in cui lo spazio non è più riferibile ad un genere (che non esiste se non nelle convenzioni del teatro merce) ma sempre e soltanto alle determinazioni specifiche del l’evento (legate alle esigenze del teatro-arte), in questa cultura lo spazio del teatro non può accettare di essere sala più o meno efficiente, più o meno umana, ma solo sala per spettacoli, per un teatro-merce sempre più costoso. La committenza chiede pero’ sale per spettacoli e gli architetti che le costruiscono fanno spazi per il teatro-merce o cattedrali nel deserto. E gli uomini di teatro fuggono dai teatri.

 

Lo spazio del teatro, per essere vivo, deve avere proporzione e memoria. Se non è più il palazzo degli spettatori o il museo della cultura, può essere la «casa» degli attori. Un luogo abitato anche prima e dopo lo spettacolo, un luogo di lavoro in cui si crea l’interesse ad essere ospiti. Si può certo abitare in case costruite per altri o per altro (è quel che di solito viene fatto); si può anche costruire la casa in cui abitare come artisti e in cui ricevere ospiti. Qui lo spettatore che viene allo spettacolo «sente» lo spazio vissuto e «vede» quello spazio come elemento vivo e funzionale dello spettacolo stesso; qui lo spazio dello spettacolo crea la condizione del suo essere guardato, crea lo spettatore. Lo spazio teatrale non nasce dagli spazi degli spettacoli precedenti per consentire gli spettacoli futuri prevedibili. L’unico possibile edificio teatrale del futuro è quello ben radicato nella contemporaneità (non nel modernismo), che non si fa carico cioè del passato ma gli chiede piuttosto di essere memoria presente, di essere cioè tradizione vivente.


Il passato del nostro teatro non è la continuazione dei modi produttivi e recitativi dell’Ottocento, bensì le esperienze più alte del nostro secolo. Né il nuovo teatro si radica nell’imprevisto di altri linguaggi espressivi, contemporanei ma nati per altre esigenze, se non per rinnovamenti ed esperimenti temporanei (vedi la parabola del post-moderno). Oggi il teatro dell’immanenza possibile si fonda sulle esperienze forti del Novecento, il secolo ormai passato: produttivamente è il luogo in cui si realizza il lavoro degli attori, un lavoro che non è più la breve durata dello spettacolo e delle prove ma la lunga durata dell’esperienza, un luogo che ha quindi una dimensione del quotidiano e la sua sacralità; culturalmente è il luogo in cui si realizzano le relazioni e le visioni di uomini concreti. Come insegna la ripetuta fuga dei teatri dal teatro e il rifugiarsi nei luoghi del vissuto, la diversità di cui consiste il teatro ha bisogno di uno spazio che esibisca la sua normalità non rispetto all’idea di teatro ma rispetto al sociale quotidiano. Nella cultura greca il teatro era uno dei luoghi sacri della polis; nel teatro rinascimentale il mito dello spazio antico si inverava però nelle prassi della sala della corte, il luogo dell’autocelebrazione; la civiltà della borghesia faceva del teatro il monumento della città, prima come la Chiesa e il palazzo del Municipio, poi come la Borsa e la Scuola o il Museo; oggi il teatro è lo spazio a parte in cui si esaltano quei valori dì interrelazione faticosamente e drammaticamente riconquistati alla negazione quotidiana.


Ma ogni progetto di teatro resterà solo «monumento» o diventerà come quelle case disabitate di cui resta solo la facciata se non lo si darà come abitazione agli uomini di teatro. 

 

LETTERA AD UN ARCHITETTO

Fabrizio Cruciani

 

Se si guarda il teatro nei molti modi in cui è esistito nel tempo e nello spazio, si deve riconoscere che a volte è esistito uno spazio per le rappresentazioni, a volte un luogo autonomo predeterminato rispetto agli eventi di spettacolo, e a volte una situazione di confusione tra i due.

L’edificio teatrale all’italiana, che si pone come lo spazio-modello nella cultura europea dal XVI al XIX secolo, è una forma spaziale non nata dalle esigenze rappresentative degli uomini di teatro quanto piuttosto dalle istanze di «immagine» di una cuItura e di una città. Basta seguire le vicende che portano alla costruzione di un teatro in una delle tante cittadine italiane per incontrare le discussioni nei consigli comunali, la formazione di associazioni di finanziamento (i palchettisti), la volontà di avere un edificio teatrale «migliore» delle altre città, di avere servizi di maggiore rappresentanza... E gli spettacoli? Di questo non si parla, per questo ci si rivolgerà ad un impresario. I teatri così fatti non sono certo dimensionati al loro uso come luoghi di spettacolo, a volte episodico; lo sono invece all’autorappresentazione di una comunità e per eventi eccezionali. Nella sua forma più compiuta, il teatro all’italiana con palchi è il luogo dello sguardo: ma è perché gli spettatori si guardino. I palchi negano la delimitazione delle pareti, sono ambienti che delimitano l’ambiente, in relazione dialettica e totalizzante. Il sipario è chiuso, l’arcoscenico è ornato, nei palchi c’è gente, tutte le zone sono riempite di figure allegoriche o ornamenti da guardare; poi il sipario si apre e comincia lo spettacolo – una parentesi nella vita del teatro.


Questo spazio del teatro, assoluto rispetto agli spettacoli, è il luogo degli spettatori.

Nel XIX e XX secolo il teatro viene espropriato agli spettatori, ma non viene dato agli uomini di teatro. Il teatro non si confronta più con la comunità cittadina ma con il Teatro, il senso e il valore del teatro nella cultura, di cui sono depositari un astratto Pubblico e la critica. Il teatro-monumento diventa teatro-museo. Si funzionalizza il teatro all’italiana, cambiandone il senso, all’esigenza dell’assistere allo spettacolo: si erigono a valori formanti non i modi di una relazione ma la funzione del vedere e dell’udire.

 

Con gli inizi del nostro secolo tutto quel che si coagulava nel teatro è assolto da una molteplicità di media, il cinema prima degli altri: e il teatro cambia senso e valori. Nel nostro secolo si è cercato uno spazio diverso del teatro: piani su più livelli a circondare il pubblico, arena centrale, spazio tecnologico, scena aperta, spazio unitario di scena e sala, sale non teatrali, spazi del vissuto e del quotidiano. Con i grandi Padri Fondatori del teatro

del Novecento e con la ricerca viva degli uomini di teatro (l’avanguardia teatrale non è il teatro delle avanguardie storiche) lo spazio del teatro è diventato il luogo in cui lavorano gli uomini di teatro, allestito per incontrare gli uomini che attraverso il teatro cercano una propria dimensione. E una rivoluzione radicale e profonda, che ha determinato le sconfitte moderne dell’architettura teatrale.

In una cultura teatrale in cui lo spazio non è più riferibile ad un genere (che non esiste se non nelle convenzioni del teatro merce) ma sempre e soltanto alle determinazioni specifiche del l’evento (legate alle esigenze del teatro-arte), in questa cultura lo spazio del teatro non può accettare di essere sala più o meno efficiente, più o meno umana, ma solo sala per spettacoli, per un teatro-merce sempre più costoso. La committenza chiede pero’ sale per spettacoli e gli architetti che le costruiscono fanno spazi per il teatro-merce o cattedrali nel deserto. E gli uomini di teatro fuggono dai teatri.

 

Lo spazio del teatro, per essere vivo, deve avere proporzione e memoria. Se non è più il palazzo degli spettatori o il museo della cultura, può essere la «casa» degli attori. Un luogo abitato anche prima e dopo lo spettacolo, un luogo di lavoro in cui si crea l’interesse ad essere ospiti. Si può certo abitare in case costruite per altri o per altro (è quel che di solito viene fatto); si può anche costruire la casa in cui abitare come artisti e in cui ricevere ospiti. Qui lo spettatore che viene allo spettacolo «sente» lo spazio vissuto e «vede» quello spazio come elemento vivo e funzionale dello spettacolo stesso; qui lo spazio dello spettacolo crea la condizione del suo essere guardato, crea lo spettatore. Lo spazio teatrale non nasce dagli spazi degli spettacoli precedenti per consentire gli spettacoli futuri prevedibili. L’unico possibile edificio teatrale del futuro è quello ben radicato nella contemporaneità (non nel modernismo), che non si fa carico cioè del passato ma gli chiede piuttosto di essere memoria presente, di essere cioè tradizione vivente.


Il passato del nostro teatro non è la continuazione dei modi produttivi e recitativi dell’Ottocento, bensì le esperienze più alte del nostro secolo. Né il nuovo teatro si radica nell’imprevisto di altri linguaggi espressivi, contemporanei ma nati per altre esigenze, se non per rinnovamenti ed esperimenti temporanei (vedi la parabola del post-moderno). Oggi il teatro dell’immanenza possibile si fonda sulle esperienze forti del Novecento, il secolo ormai passato: produttivamente è il luogo in cui si realizza il lavoro degli attori, un lavoro che non è più la breve durata dello spettacolo e delle prove ma la lunga durata dell’esperienza, un luogo che ha quindi una dimensione del quotidiano e la sua sacralità; culturalmente è il luogo in cui si realizzano le relazioni e le visioni di uomini concreti. Come insegna la ripetuta fuga dei teatri dal teatro e il rifugiarsi nei luoghi del vissuto, la diversità di cui consiste il teatro ha bisogno di uno spazio che esibisca la sua normalità non rispetto all’idea di teatro ma rispetto al sociale quotidiano. Nella cultura greca il teatro era uno dei luoghi sacri della polis; nel teatro rinascimentale il mito dello spazio antico si inverava però nelle prassi della sala della corte, il luogo dell’autocelebrazione; la civiltà della borghesia faceva del teatro il monumento della città, prima come la Chiesa e il palazzo del Municipio, poi come la Borsa e la Scuola o il Museo; oggi il teatro è lo spazio a parte in cui si esaltano quei valori dì interrelazione faticosamente e drammaticamente riconquistati alla negazione quotidiana.


Ma ogni progetto di teatro resterà solo «monumento» o diventerà come quelle case disabitate di cui resta solo la facciata se
non lo si darà come abitazione agli uomini di teatro. 

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